UNIONE ITALIANA FOOD: “BENE VIGILARE SUI PREZZI MA VA CHIARITO CHE L’AUMENTO DELLA PASTA ALLA PRODUZIONE (+8.4%) È IN LINEA CON L’INFLAZIONE. INGENEROSO PRENDERSELA CON NOI PASTAI”

  • Il prezzo alla produzione, vale a dire il prezzo medio che i pastai hanno applicato alla distribuzione, è cresciuto in un anno dell’8,4% (marzo 2022- marzo 2023), in linea con l’indice di inflazione medio registrato dei beni al consumo. L’aumento complessivo al consumo (+16,5%) è frutto di dinamiche esterne al mondo della produzione della pasta.
  • Molte le dinamiche che incidono sul prezzo finale al consumatore, dal costo delle materie prime alle logiche della grande distribuzione
  • All’inizio del 2022 il prezzo del grano era salito a quasi 600 euro a tonnellata (+110% rispetto allo stesso periodo del 2021) ed ora è sceso sensibilmente, attestandosi tra i 350 e i 380 euro (comunque +30% rispetto al 2019). Stessa dinamica per costi energetici e altre voci
  • Unione Italiana Food: “Dispiace l’enfasi con cui è stato convocato questo tavolo. Si tratta di una propaganda negativa pregiudizievole per un settore gioiello del Made in Italy alimentare”

Roma, giovedì 11 maggio 2023 – Il prezzo della pasta alla produzione è cresciuto in un anno del +8,4% (dati ufficiali ISTAT, marzo 2023 su marzo 2022), ovvero al pari dell’indice di inflazione medio registrato dai beni al consumoL’incremento per il consumatore – che dipende da dinamiche esterne al mondo della produzione della pasta – si attesta invece su una percentuale del +16,5% (e non del 17,5% o di altre cifre enunciate erroneamente in questi giorni) quando la media del totale dei prodotti alimentari è del +15% (dati ufficiali ISTAT, aprile 2023 su aprile 2022). Parliamo quindi di un rincaro sul prezzo della pasta che si attesta di un punto e mezzo percentuale in più rispetto agli altri prodotti alimentari.

“I pastai italiani sono sempre dalla parte dei consumatori. Vorremmo che si uscisse da questa giornata con il riconoscimento che la pasta è la soluzione, non il problema. Lavoriamo tutti nella direzione di tutelare sempre al meglio i consumatori ma, seppur i costi rimanessero quelli attuali, non possiamo dimenticare che l’aggravio di spesa per persona all’anno sarebbe di circa 10 euro, ovvero il 16,5% in più su un prodotto che costa in media circa 1,07 euro al pacco (dato Istat). Insomma, ben al di sotto di tanti altri rincari e perfettamente in linea con il costo dell’inflazione. Tenendo conto che si tratta di un prodotto che finisce quotidianamente sulle tavole degli italiani, sinceramente l’allarmismo di questi giorni appare davvero poco giustificato. Si sono letti tanti numeri, alcuni anche sbagliati: resta il fatto che noi pastai possiamo solo ribadire che il prezzo della pasta alla produzione è aumentato del +8,4%, in linea con l’aumento dell’indice d’inflazione medio dei beni al consumo. Se l’aumento del prezzo al consumo è stato poi del +16,5% è frutto di dinamiche esterne al mondo della produzione”. È il commento di Unione Italiana Food alla riunione tenutasi oggi a Roma a Palazzo Piacentini indetta dalla Commissione di allerta rapida per analizzare la dinamica del prezzo della pasta convocata dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, e dal Garante per la sorveglianza dei prezzi, Benedetto Mineo.

Nel corso dell’incontro il Ministero dell’Agricoltura ha riferito che, all’esito di controlli effettuati dall’Ispettorato centrale repressione frodi, nessun fenomeno speculativo o illecito è stato registrato.
Dispiace l’enfasi iniziale con cui è stato accompagnato questo tavolo. Si tratta di una propaganda negativa, pregiudizievole per un settore che rappresenta un orgoglio per il Made in Italy, il fulcro della dieta mediterranea, un prodotto che fa da volano all’export e a tante altre eccellenze nostrane. Una pubblicità negativa che, purtroppo, proviene proprio dal Dicastero che ha mutato la propria denominazione, votandosi alla tutela delle imprese e del Made in Italy.

Secondo UIF, l’incremento del prezzo della pasta presentato come un’allerta, è invece un dato logico e facilmente spiegabile. La pasta oggi a scaffale è stata prodotta mesi fa con grano duro acquistato alle quotazioni del periodo ancora precedente, con i costi energetici del picco di crisi bellica, cui si sono aggiunti i forti costi del packaging (carta e plastica) e della logistica (carburante, pallet, containers).

I prezzi di oggi, quindi, sono il risultato di una libera contrattazione fatta dalle singole aziende con la distribuzione. Una situazione che i pastai di Unione Italiana Food non hanno tardato a definire come una “tempesta perfetta” per il settore della pasta e non solo (anche gli altri beni alimentari hanno subito gli stessi incrementi). È vero, i costi sono scesi ma non sono tornati ai livelli del passato e sono ancora piuttosto sostenuti rispetto a quelli registrati a cavallo del 2020/2021. All’inizio del 2022, il prezzo del grano era salito a quasi 600 euro a tonnellata (+110% rispetto allo stesso periodo del 2021) ed ora è sceso sensibilmente, attestandosi tra i 350 e i 380 euro (comunque +30% rispetto al 2019). Stessa dinamica la si può riscontrare per i costi energetici e le altre voci di costo. Quando il grano duro era alle stelle non è stato avvertito nessun grido di allarme per i pastai. Eppure, si tratta di un settore con una marginalità ridottissima visto che con poco più di un euro si acquista un pacco di pasta da 500 grammi e in quell’euro ci stanno tutte le voci di costo: il grano duro, la trasformazione del grano in semola, i costi energetici di aziende fortemente energivore (elettricità e gas), il packaging, i trasporti ed altro ancora.

Fa male vedere che qualche organizzazione agricola che conosce bene questi meccanismi metta in contrapposizione il basso prezzo del grano duro con il presunto prezzo alto della pasta e non faccia altrettanto a condizioni invertite. Questo approccio non fa bene alla filiera – continua Unione Italiana Food – Se la pasta ha un prezzo più sostenuto è probabile che, in prospettiva, ci sia più margine di crescita anche per il grano duro. Di certo, se il prezzo della pasta è basso, il prezzo del grano duro è destinato a comprimersi e le aziende pastaie a chiudere”.

Cosa che sta già accadendo: i pastifici italiani sono sempre meno (500 negli anni ‘70 e poco più di 100 oggi) e la ridottissima marginalità che caratterizza la produzione di pasta mette a dura prova la tenuta dei bilanci delle aziende pastarie e con essa il pilastro per eccellenza del Made in Italy del food.

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