Corta o lunga, liscia o ruvida, spezzata o intera, nei suoi innumerevoli formati, il piatto cult degli italiani è stato immortalato al cinema italiano e non, in tantissime occasioni, per arricchire e tratteggiare in maniera rapida personaggi, situazioni e scenari storico-culturali, seguendo e rispecchiando l’evoluzione economica e socio-culturale del nostro Paese. La pasta infatti rappresenta “miseria e nobiltà”, tanto per citare uno dei film di riferimento, fornendo uno spaccato quotidiano sociale, culturale e di costume della realtà passata e presente.
In una piccola carrellata di film italiani, dagli anni ’50 ad oggi, il ricordo della pasta viene celebrato nella sua semplicità, l’unico e costante elemento di continuità. Perché una cosa è certa: la pasta, così come il ricordo, genera sempre un sorriso.
“Domenica d’agosto” di Luciano Emmer (1950) – Un film considerato precursore del Neorealismo rosa, è un delicato racconto di vita quotidiana della Roma popolare e dei suoi abitanti, pronti a partire per una giornata a Ostia tra preoccupazioni economiche, amori e piccole bugie. La sequenza della famiglia proletaria, intenta a mangiare gli spaghetti nel capanno in riva al mare, è una bella e nostalgica testimonianza dell’Italia ingenua e lavoratrice che non c’è più.
“Toto’, Peppino e la Malafemmina” di Camillo Mastrocinque (1956) – A metà degli anni ’50 la pasta inizia ad essere parte integrante del nostro vivere, del nostro benessere appena raggiunto. Totò e Peppino interpretano due zii molto preoccupati per la sorte del loro nipote, giovane studente che abbandona l’università per seguire in tournèe un’attrice di una compagnia teatrale. I due protagonisti sono convinti che la ragazza sia una “Malafemmina” e così decidono di raggiungere il nipote a Milano. Quando giungono, estraggono dalla valigia spaghetti e caciocavallo, portati da Napoli.
“I soliti ignoti” di Mario Monicelli (1958) – Anche le zuppe, sempre accompagnate dalla pasta, sono immancabili nei film. Una delle commedie più significative del cinema italiano, con un cast stellare, racconta le disavventure di un gruppo di ladruncoli che, per cercare di riscattare una vita di insuccessi e fallimenti, escogita un piano per rapinare il Monte di Pietà. Le cose non andranno per il verso giusto e, nella sequenza più famosa del film, i protagonisti si ritrovano nell’appartamento sbagliato: amaramente, concludono la loro ingloriosa impresa mangiando la pasta e ceci avanzata dalle proprietarie di casa. Metafora della povertà e arte di arrangiarsi tutta italiana. Non tutto è perduto, la pancia, almeno, è piena.
“Un militare e mezzo” di Steno (1960) – E poi c’è Aldo Fabrizi, il mangiatore del cinema italiano per eccellenza. Nei panni di un maresciallo dell’esercito, cerca inutilmente di resistere di fronte ad un piatto di pastasciutta, cedendo poi d’improvviso e mangiandola tutta in un boccone. Curiosità non trascurabile: Aldo Fabrizi aveva proprio un’autentica venerazione per la pasta, tanto da aver scritto addirittura un libro di sonetti in rima a lei dedicati: ricette in versi dei piatti della tradizione romana, considerazioni sulle abitudini alimentari degli italiani, rimpianto per la vita semplice di un tempo, ironia sulle diete, ragionamenti sulla inattendibilità dell’informazione alimentare di giornali e televisione.
“Una vita difficile” di Dino Risi (1961) – Un magistrale Alberto Sordi nel ruolo di Silvio Magnozzi, un partigiano amante della patria che, per tutta la vita, perderà occasioni di guadagno e prestigio per continuare a inseguire i suoi velleitari ideali comunisti, in contrasto con il nuovo benessere dato dal boom economico. La sequenza più significativa è quella in cui lui e la moglie, seduti a tavola con una famiglia aristocratica, apprendono dalla radio la vittoria della Repubblica e si lanciano felici sui piatti di spaghetti, noncuranti degli altri commensali che abbandonano il pranzo, presi da un malore per la sconfitta della monarchia.
“C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola (1974) – Altro film, altro cast d’eccezione in un ritratto comico e amaro di tre amici ex partigiani che, negli anni, hanno perduto lo slancio intellettuale e vivono di rimpianti e cinico realismo. La sequenza più toccante è quella in cui i tre, dopo molto tempo, si ritrovano a tavola, nella trattoria “Dal re della mezza porzione” e, incrociando in aria le forchette piene di maccheroni, fanno un bilancio impietoso delle loro esistenze, dichiarando che la loro generazione ha fallito. Uno spaghetto “consolatore” in nome di un’amicizia ritrovata.
“Sabato, domenica e lunedì” di Lina Wertmüller (1990) – Nel film televisivo tratto dall’omonima commedia di Eduardo De Filippo, gli ziti spezzati a mano accompagnati dal ragù di Donna Rosa sono gli indiscussi piaceri della tavola domenicale della famiglia Priore, che attende i suoi ospiti scandendo i riti antichi dell’arte culinaria. Uno splendido ritratto della vocazione italiana ai piaceri della tavola e a tutta la sapienza e passione che si celano dietro a un piatto di pasta.
“Il postino” di Michael Radford e Massimo Troisi (1994) – In una decade diversa, non si può fare a meno di nominare gli “spaghetti alla Mario Ruotolo”, di un commovente Massimo Troisi. La scena in cucina: il protagonista Mario, ormai ex postino personale di Pablo Neruda, ricorda con nostalgia l’amico poeta che è tornato in Cile. Aiutando sua moglie Beatrice, nella cucina dell’osteria di famiglia, prepara gli spaghetti al sugo di carciofi. E naturalmente, anche davanti ai fornelli trova una poetica descrizione per ogni ingrediente. Ancora spaghetti come simbolo d’amicizia.
“Pranzo di ferragosto” di Gianni Di Gregorio (2008) – Una commedia sulla terza età, scanzonata e verace, che offre diversi spunti di riflessione e che vede un figlio alle prese con la madre, una nobildonna decaduta leggermente caratteriale, cui vanno ad aggiungersi la mamma dell’amministratore e quella del medico. Il pover’uomo si trova a dover organizzare un pranzo di ferragosto per le simpatiche vecchiette, cercando di barcamenarsi tra battibecchi, manie, diete e quant’altro. Il menù: la pasta al forno che una delle donne divora, nonostante i divieti del figlio medico.
“Quo vado” di Gennaro Nunziante (2016) – Arriviamo ai giorni nostri con una commedia esilarante interpretata da Checco Zalone, costretto al trasferimento all’estero pur di non abbandonare il posto fisso. La scena emblematica è quella dello “spaghetto italiano all’estero”. Mangiando un piatto di pastasciutta, non proprio gustosa, Checco chiede al ristoratore la ricetta. La risposta lo fa rabbrividire, tanto da spingerlo ad ordinare per secondo “un cacciavite e una scala” con cui staccherà l’insegna “Ristorante italiano”. La sequenza si conclude con il suo slogan “Non si scrive l’Italia invano”.