Da sempre la storia del grano è fatta di convivenza e commistione tra specie precedenti e nuove varietà. In realtà il frumento stesso è nato circa 300mila anni fa dall’incrocio spontaneo e casuale (in qualche modo inspiegabile) di due specie diverse. Da migliaia di anni, agricoltori, agronomi e genetisti agrari hanno affiancato la Natura selezionando le varietà di grano più adatte al consumo e efficienti nella resa. Una evoluzione continua grazie alla quale sono state ottenute varietà di volta in volta più resistenti e produttive. Spesso però si tende per eccesso di semplificazione informativa o poca chiarezza a contrapporli ma non c’è alcun conflitto, tanto meno una rilevata differenza nella quantità di glutine che contengono. Ecco cosa dice la scienza.
Il glutine nei grani moderni e antichi. Le evidenze scientifiche – L’indice di glutine del grano moderno non è diverso da quello di altre varietà di grano11 coltivate in Italia da secoli e uno studio del 2012 dell’Università di Urbino12 ha dimostrato che due grani antichi come il Graziella Ra e il Kamut hanno valori più elevati di gliadine rispetto ad altri grani, mettendo in discussione l’ipotesi della bassa immunogenicità dei grani antichi.
Uno studio del 2013 pubblicato sul Journal of Agricultural and Food Chemistry13 ha calcolato l’eventuale cambiamento del contenuto di glutine del grano analizzando i dati delle proteine di migliaia di grani coltivati negli USA dal 1925 ai giorni nostri. In media, la percentuale di proteine è sempre rimasta stabile tra il 12% e il 15%, con un picco del 19% nel 1938 (per ragioni climatiche). L’analisi dimostra che esistono altre variabili, non genetiche – la zona di coltivazione, l’uso di fertilizzanti azotati, il clima freddo o caldo dalla zona di coltivazione e, a parità di area produttiva, le variazioni meteoclimatiche stagionali – che incidono sensibilmente sulla quantità di proteine contenuta nel grano.
Grani moderni e celiachia? La scienza non conferma la correlazione – Non esistono evidenze scientifiche sul fatto che l’aumento di celiachia e disturbi correlati siano dovuti al troppo glutine presente nei grani moderni. La notizia è stata diffusa partendo da un’inchiesta di “Striscia la notizia”, poi ripresa in maniera virale da decine e decine di blog. Ma mai, in tanti anni (una approfondita ricerca, fonte per fonte, è stata fatta da Dario Bressanini nel libro Contro natura, edito da Rizzoli) nessuno ha potuto portare una prova a dimostrazione di una tesi del genere. Sappiamo che consumare alimenti contenenti glutine non porta alla celiachia se non si è predisposti geneticamente. E anche la predisposizione genetica non attiva automaticamente la malattia. Più complesso il tema della “sensibilità al glutine” o Non-Celiac Gluten Sensitivity (NCGS), fenomeno in crescita tra i tanti che lamentano sintomi simili a quelli della celiachia ma non presentano lesioni all’intestino e risultano negativi ai test. I criteri diagnostici della NCGS sono ancora oggetto di discussione. Per molti scienziati, comunque, il glutine non ne sarebbe la causa. Secondo uno studio del 2013 pubblicato su Gastroenterology14, neanche un miglioramento a seguito di una dieta gluten free basta a confermare che il problema sia proprio il glutine. E una ricerca italiana del 201515 ipotizza che il 95% di quanti sostengono di essere sensibili al glutine sia in realtà vittima di un effetto nocebo (ha cioè una reazione negativa pensando di assumere qualcosa che fa male al suo organismo). Di fronte alla complessità del tema, le linee guida del Ministero della Salute evidenziano i rischi di autodiagnosi e eliminazione preventiva del glutine dalla dieta. E anche la Dichiarazione di Consenso scientifico “Healthy Pasta Meals” firmata a ottobre scorso da 20 medici e nutrizionisti di tutto il mondo (v. focus) afferma che se non si è affetti da un disturbo glutine-correlato correttamente diagnosticato non c’è alcun motivo di rinunciare alla pasta. Anche perché seguire una dieta gluten free prima di fare i test per la celiachia può rendere la diagnosi più difficile o perfino errata.
Più glutine, più tenacia – Oggi il gluten free è un fenomeno di grande portata anche tra i non celiaci e, da prodotti medicali, i cibi senza glutine si sono trasformati in scelta dettata dalle ultime tendenze “salutiste” in fatto di alimentazione e il glutine è spesso additato come qualcosa di non salutare o nocivo anche per i non celiaci. Ma non va demonizzato (a meno di essere celiaci); nel caso della pasta, la tenacità determina la forza del reticolo proteico, che ha l’importante ruolo di trattenere l’amido – e con esso le proprietà nutritive – evitando la collosità e mantenendola al dente. In generale, una semola dall’alto contenuto proteico (tra il 13,5% e il 14,5%) contribuisce insieme ad altri fattori a migliorare la qualità della pasta, sia in termini nutrizionali, sia dal punto di vista organolettico. Non dimentichiamo però che è la mano del pastaio a determinare la qualità del prodotto ed è per questo che i pastai italiani conservano da sempre il primato della produzione di pasta di alta qualità.
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