Anche per il grano, gli esami non finiscono mai. Ecco tutti i test che deve superare per diventare pasta.
L’importanza delle materie prime – Se lo scultore intravede la statua nel blocco di marmo, il pastaio riconosce la pasta nel chicco di grano. Perché nell’arte della pasta, grano e semola sono i colori della tavolozza. E ogni pastaio ha il suo stile. Che la ricetta scelta nasca da una miscela di semole o dal lavoro con una monovarietà, a fare la differenza è l’abilità del pastaio di riconoscere e valorizzare le caratteristiche tecnologiche e organolettiche di ogni grano, selezionando e dosando le varietà migliori, per mantenere costanti (e riconoscibili) il gusto, la tenacità, il colore del prodotto finito, anche se la qualità della materia prima oscilla di anno in anno per le condizioni ambientali e climatiche.
Alla costante ricerca del grano migliore, in 200 anni la “Nazionale” della pasta italiana ha infatti da sempre accolto in squadra grani “oriundi” di qualità. Per esempio, quando nasceva il mito della pasta italiana, il 70% del grano utilizzato proveniva dall’estero, e il pregiato grano russo Taganrog, più resistente e meno malleabile delle cultivar italiane, andava per la maggiore. Negli anni Sessanta e Settanta, proprio quando veniva varata la legge di purezza e in pieno boom dei consumi di pasta, il peso di questo rapporto si era invertito e la miscela ideale di semole per ottenere una pasta di qualità prevedeva, in percentuale, il 65% di produzione italiana, il 25% dal Nord America per la forza e l’indice di glutine e il 15% dall’Argentina per il colore. Oggi il grano italiano copre il 70% circa del fabbisogno, mentre il restante 30-35% arriva soprattutto da Francia, Australia e Nordamerica.
La sapienza del pastaio – La storia dimostra quindi che nella pasta non è l’origine del grano a fare la qualità ma la capacità del pastaio di scegliere quello migliore. E se la legge di purezza ne fissa i parametri minimi, è nel laboratorio che la materia prima deve dimostrare di poter diventare pasta. Perché dalla composizione e dalla qualità della semola (salubrità, quantità e qualità del glutine, caratteristiche dell’amido, umidità, comportamento dell’impasto) dipendono le variabili organolettiche (colore, aspetto, sapore e consistenza) della pasta.
Brabender&Chopin – Esami e analisi di laboratorio permettono di riconoscere la qualità della semola grazie a strumenti come il Glutografo di Brabender e l’Alveografo di Chopin. Di ogni campione vengono valutati e quantificati la forza dell’impasto, la sua tenacità, estensibilità e stabilità, il grado di assorbimento dell’acqua, la quantità del glutine. È in particolare la quantità del glutine (contenuto proteico) e la qualità del glutine a definirne le caratteristiche sulla base del rapporto resistenza/elasticità. A differenza delle farine per pane e prodotti da forno, delle quali si considera soprattutto l’elasticità della mollica, la sofficità, o la capacità di sopportare lunghe lievitazioni, il pastaio invece ricerca nella semola soprattutto colore, elasticità alla masticazione e tenacità. La tenacità, in particolare, determina la “forza” del reticolo proteico del glutine che limita la fuoriuscita di amido durante la cottura. In altre parole, la differenza tra una pasta ben al dente e una collosa. Le caratteristiche della semola di grano duro si trasferiscono nel prodotto finito. Ogni lotto viene analizzato in laboratorio prima del suo utilizzo per valutarne caratteri e qualità.