PASTA SCIENCE: COSA SUCCEDE ALLA PASTA IN PENTOLA

Pentola sul fuoco, acqua bollente o quasi, confezione di pasta alla mano e via con la cottura. Gestualità istintive ripetute centinaia di volte all’anno, spesso senza essere consapevoli di cosa facciamo passare al maccherone dalla confezione al piatto. Ma secondo i pastai italiani di Unione Italiana Food, un approccio scientifico al processo di cottura della pasta ci farà diventare cuochi migliori. 

 

Tutto parte dalla comprensione della “natura” della pasta… e dalla maestria di chi l’ha realizzata. Per la pasta italiana si utilizza solo grano duro, dall’ impasto meno estensibile di quello che si ottiene dal grano tenero e quindi perfetto per sostenere la “architettura” delle forme. La pasta è fatta principalmente di amido (carboidrati) e glutine (proteine, mai meno del 10,5%, in media il 12-13%). I valori di entrambi sono indicati in confezione e sono un primo indizio di come si comporterà il fusillo in pentola. La quantità e la qualità delle proteine, che derivano da materia prima e processo di lavorazione, contribuiscono insieme alle tecniche di produzione a determinare la tenuta al dente della pasta. A contatto con l’acqua, le proteine creano il glutine, il “cemento” che dà struttura alla pasta e ne trattiene l’amido. Più forte è la tenuta della rete proteica, più strette le sue maglie, meno amido fuoriuscirà dalla pasta in cottura. Questo equilibrio, insieme ad altri aspetti produttivi legati alla competenza centenaria dei pastai, fa la differenza tra una tenuta al dente e una pasta collosa e scotta. 

 

IDRATAZIONE, E LO SPAGHETTO SI PIEGA

Quando buttiamo, pardon, caliamo la pasta in pentola si innescano una serie di reazioni chimiche. In primis l’idratazione. L’acqua penetra progressivamente nell’impasto, che infatti diventa via via più molle morbido e consente allo spaghetto di acquistare sufficiente flessibilità per piegarsi e entrare nella pentola. Si tratta di un processo che si innesca anche a freddo: se si lascia per una notte una penna o un mezzo rigatone in un bicchiere di acqua fredda, al mattino troveremo una pasta molle e che si disfa, tutt’altro che al dente! E qui entra in gioco la temperatura di cottura: la pasta viene cotta dal trasferimento del calore dal liquido all’impasto, dalla sua durata e dalla sua intensità. Più l’acqua è calda, più rapidamente verrà assorbita, prima il calore raggiungerà il centro della pasta e questa cuocerà in modo uniforme.

 

LA FUGA DELL’AMIDO, LA RETE DEL GLUTINE: YIN E YANG DELLA PASTA AL DENTE

Tra i 60 e gli 80 gradi centigradi amido e proteine della pasta subiscono due trasformazioni opposte e quasi contemporanee – e il fatto che queste reazioni si inneschino anche a temperature inferiori a quella di ebollizione spiega il perché sia possibile cuocere la pasta anche passivamente, a fuoco spento. A 60°C l’amido si rigonfia, aumentando di volume, gelatinizza, e, disaggregandosi, si solubilizza, fuoriuscendo gradualmente dalla pasta. Lo vediamo ad occhio nudo dalla trasparenza dell’acqua di cottura: più è più torbida, maggiore è la quantità di amido “fuggito”. Fortunatamente, alle proteine accade il fenomeno opposto. La loro progressiva coagulazione, tra i 70 e gli 80°C, stringe le maglie del reticolo glutinico e scherma l’amido all’interno della struttura. 

L’equilibrio tra i due fenomeni, o la prevalenza dell’uno o sull’altro, è la differenza tra una pasta al dente e il temuto “mappazzone”. Una piccola fuoriuscita di amido aiuta la pasta a legarsi con il sugo, ma se è eccessiva la rende collosa e scotta. Inoltre, più la cottura viene prolungata oltre il tempo ottimale, più amido verrà rilasciato. E infatti, quando l’acqua è troppo torbida, allora bisognerà tenerne conto e scolare la pasta con qualche minuto di anticipo. Con il rischio, però, di trovarla scotta all’esterno e cruda dentro.

 

LE ALETTE DELLA LINGUINA, LA VALLE DEL RIGATONE: TUTTE LE SFUMATURE DELLA COTTURA PERFETTA

Capire l’equilibrio tra cessione dell’amido e tenuta della rete proteica è la vasca di Archimede del pasta lover che può scegliere tecnica di cottura, tipologia di pasta e formato più funzionale alla ricetta o al proprio gusto. Per esempio, mantecare con un mestolo di acqua di cottura più o meno ricca di amido aiuterà la pasta a legarsi al meglio al condimento scelto. Nel mondo della pasta liscia, le linguine sono perfette con un sugo alle vongole perché le “alette”, più sottili, cuoceranno prima rispetto alla sezione centrale, più spessa, rilasciando la quantità di amido ideale per emulsionarsi con l’olio e a creare l’ambita cremina. Si comporta allo stesso modo la superficie ruvida e irregolare di una pasta trafilata al bronzo e, in modo più evidente, le scanalature di una pasta rigata. Sedanini e rigatoni, con la texture di “picchi” e “valli”, in cottura espongono all’acqua più superficie, restando più al dente nella parte spessa e rilasciando più amido da quella più sottile, permettendo sia di legarsi al sugo, che di “catturarlo” tra le righe. 

 

PASTA TRAINING: SUL FILO DEL COLTELLO (E DEL VETRINO) I TEST DELLA QUALITÀ DELLA PASTA

Per aiutarci a raggiungere questo risultato, i pastai sottopongono la pasta a veri e propri “crash test” per verificare aspetto, tenuta in cottura, resistenza alla masticazione, ma anche aspetto, “solidità” del formato, assaggi con il condimento e prove di (extra)cottura: quanto tempo passa tra la cottura al dente e quando la pasta si scuoce del tutto? E lo spaghetto tiene il nerbo anche quando è all’onda? Più a lungo la pasta resterà buona anche se “dimenticata” sui fornelli o nel piatto, tanto più è adatta ad essere messa in commercio. 

Per allenarsi anche a casa, i pastai italiani consigliano l’assaggio della pasta in bianco, senza sale e senza condimento – al massimo con un filo d’olio d’oliva. La degustazione inizia, come nel caso del vino o della birra, con l’esame visivo: la pasta mantiene la sua forma dopo la cottura? È fessurata? Quando la mastichiamo, la sua consistenza è uniforme o è troppo morbida all’esterno e cruda all’interno? E quanto profuma di grano? Un’altra prova è il test del vetrino (nel pastificio) o del coltello (in casa): si prende lo spaghetto e lo si schiaccia all’interno di un vetrino, oppure si taglia il formato con un coltello per vederne la sezione. Il punto di cottura ideale si raggiunge quando la parte interna bianca, l’“anima”, sparisce. Al di là dei parametri oggettivi, la valutazione ha molto a che fare con la sensibilità, l’esperienza… e le preferenze di ognuno.