Corta o lunga, liscia o rigata, fine, piena o bucata: si fa presto a dire pasta. Perché da due ingredienti semplici e naturali come acqua e semola di grano duro è nato un mondo. Nomi e forme raccontano territori, cultura popolare, tecniche di produzione, l’arte e la fantasia del pastaio. E soprattutto un prodotto da sempre accessibile e trasversale. E per questo tanto amato. Ecco 10 cose da scoprire su formati e evoluzione dell’arte pastaria, da mattarello e spianatoia alla stampa 3d.
1. 300 formati sul mercato. Gli spaghetti il più amato, anche se i Millenials la preferiscono corta – Nella pasta la forma è sostanza: a forma diversa corrispondono un diverso comportamento in cottura, una diversa consistenza e palatabilità. Secondo AIDEPI oggi sono circa 300 i formati prodotti e consumati in Italia. Se gli under 30 preferiscono la pasta corta, il più amato in assoluto sono gli Spaghetti, che guidano la classifica dei consumi davanti a penne, fusilli e rigatoni. Quattro formati “nazionali” che coprono circa il 70% del mercato (v. Focus 3).
2. Il nome della pasta: fantasia al potere – Anche nella pasta siamo il Paese dei Campanili. Il “Vocabolario etimologico della pasta italiana” ha censito oltre 1200 nomi, includendo variazioni regionali (tonnarelli, spaghetti alla chitarra o chitarrine sono la stessa cosa) e formati desueti. A volte il nome è descrittivo: formati bucati (Foratini, Bucatini, Perciatelli), attorcigliati (Tortiglioni, Fusilli, Eliche), o tagliati (Tagliatelle, Tagliolini, Fettuccine, Maltagliati). Oppure un gioco di fantasia tra anatomia (Linguine, Capellini, Orecchiette, Gomiti), zoologia e biologia (Lumache, Farfalle, Conchiglie), astronomia (Lune, Stelle, Stelline) e così via.
3. Paternostri, Garibaldini, Tripoline: religione e politica in un piatto di pasta – Quando la Chiesa “scopre” la pasta tra le pietanze di magro quaresimali, il suo consumo aumenta. Forse anche per questo nascono alcune pastine come Rosari, Avemarie e Paternostri, che si cuocevano… nel tempo di una preghiera. Poi però a Fedelini e Raganelle di monache si contrappongono gli Strozzapreti. Nel piatto entrano anche storia e politica: a fine Ottocento arrivano i Garibaldini. E, in onore della principessa Mafalda di Casa Savoia, ecco Mafalde e Mafaldine. Negli anni Trenta il colonialismo battezza Tripoline, Bengasine, Assabesi e Abissini. La pasta strumento di propaganda? Certo, perché come ricorda un sonetto di Trilussa: “Appena mamma ce dice che so’ cotti li spaghetti, semo tutti d’accordo ner programma”.
4. La lagana romana (che divenne lasagna) – Pasta nell’Antica Roma? Quasi. Si mangiavano le “lagane”, strisce o losanghe di pasta stese a mano e fatte con farina di grano tenero (al nord), o semola di grano duro (a sud). Antenate delle lasagne, non venivano bollite ma fritte o cotte al forno. Ne parla Apicio nel De Re Coquinaria, ne era goloso Orazio, che le condiva con porri e ceci.
5. Pasta secca, l’hanno inventata gli Arabi (in Sicilia), l’ha diffusa il Mediterraneo – La leggenda della pasta secca di grano duro “inizia” nel Medioevo. L’arte di essiccarla (e quindi di conservarla e trasportarla) nasce nella Sicilia araba e si diffonde sulle rotte commerciali marittime. Si vende (e si mangia) nei mercati portuali, viaggia nelle cambuse delle navi, dove i capitani avevano una speciale licenza “extraendi pastillos” a prelevare durante i viaggi Maccaroni e Vermicelli per uso personale. Non a caso sono le città di mare come Napoli, Genova, Cagliari e i territori limitrofi dove la sua produzione si sviluppa e si affina. Vuoi perché ricchi naturalmente di materia prima (Sicilia, Sardegna, Puglia), vuoi per la facilità di approvvigionamento, o per le condizioni climatiche favorevoli, come le zone di Gragnano e Torre Annunziata.
6. Dallo gnocco allo spaghetto al bucatino: genesi della pasta fresca – Una pasta “buona” deve cuocersi in modo uniforme senza sfaldarsi e rimanendo al dente. Food designer di ieri e di oggi hanno cercato da secoli un’alchimia in cui l’essiccazione è fondamentale. E con primi formati, “corti” (Gnocchi, Orecchiette), impastati con la forza delle braccia e tagliati a mano, era tutto più difficile. Poi gli arabi “inventano” lo spaghetto (Ittriyya) e cambia tutto. Sottili fili di pasta, stesi su telai o appesi su canne e bastoni, si essiccano in minor tempo e in modo più uniforme, a tutto vantaggio della conservabilità del prodotto. E la prima pasta a sezione cava della storia (si usava un ferro per forare i rotolini d’impasto) nasce proprio per la necessità di favorire l’essiccazione riducendo lo spessore.
7. L’ingegno della pasta (e del pastaio). La tecnologia applicata a spaghetti&Co – Le forme (e il gusto) si moltiplicano quando la tecnologia si affianca alle mani del pastaio. Prima la gramola a stanga per impastare e torchio a trafila (o “’ngegno”, macchinario, in napoletano) per l’estrusione di formati diversi a seconda della forma e ampiezza dei fori su cui l’impasto veniva pressato. Poi, in età industriale, la storia continua attraverso brevetti e invenzioni – la gramolatrice a molazza, a rullo conico, a coltelli, torchio idraulico a vapore, pressa meccanica continua – fino ai primi sistemi di essiccazione artificiale, che ha svincolato la produzione della pasta secca dai condizionamenti atmosferici e dal lavoro di “Scirocco e Tramontana” che rendeva l’asciugatura della pasta un processo lungo settimane… o mesi.
8. Forme e stili di consumo: nasce al sud il mito della pasta “al dente” – L’Artusi gradiva i Maccheroni “durettini”, in controtendenza con la tradizione delle sue terre. E infatti nelle tavole nobiliari del Centro-nord, veniva servita quasi in una logica “fondente” o addensante di brodi e salse di carne e formaggio, retaggio della cucina medievale e rinascimentale, dove la cottura della pasta durava ore, fino quasi a sfaldarsi nel condimento. Invece al Sud, dove la pasta accompagnava se stessa, si è imposto il sistema di cottura che la valorizza al meglio. A inizio Ottocento Ippolito Cavalcanti consigliava la di cuocerli “vierd vierd”, gettandoli nell’acqua proprio quando alzava il bollore. Diversamente, “verranno gommosi e di niun sapore”.
9. Forma e sostanza: forza dell’impasto e forma della trafila – Forma e texture della pasta determinano il comportamento della pasta con il sugo. Quelli rugosi o rigati trattengono meglio le salse, quelli bucati le accolgono in un abbraccio, quelli lisci si lasciano avvolgere. Ma perché la pasta regga a cottura e masticazione, contano anche il contenuto in proteine del grano duro e la forza del glutine, il reticolo che dà forma alla pasta trattenendo gli amidi e impedendole di sfaldarsi. Per questo da secoli la ricerca e la valorizzazione della materia prima è stato un segreto tramandato da generazioni di pastai. È il caso, per esempio, del pregiato grano russo Taganrog, che partiva dal Mar Nero verso i porti di Genova e Napoli. E ha contribuito a creare il “mito” della pasta italiana. Tanto da costituire, a inizio Novecento, il 70-80% della materia prima utilizzata.
10. Il futuro è adesso: arriva la pasta 3D. Forme e ingredienti personalizzati – Alcuni formati “funzionano”, altri no. Designer di tutto il mondo si sono misurati negli anni con la sfida della pasta, con alterni risultati. Perché il formato non solo deve essere “bello”, ma anche funzionale. E piacere a tutti. Forse per questo il prossimo passo va nella direzione opposta, quella della personalizzazione assoluta. Come quella resa possibile dalla stampante 3d. Oggi prototipo e domani elettrodomestico del futuro di case e ristoranti? Forse. Di certo ci sono forme uniche e su misura, non ottenibili né a mano né attraverso la trafilatura, ma progettate e costruite in pochi minuti da un software. Si inserisce l’impasto – anche questo personalizzabile – nella macchina e il gioco è fatto. O meglio, l’evoluzione continua.
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